LA STORIA DEGLI INCA

 

 
 
 Con i Maya e gli Aztechi, gli Incas rappresentano le più avanzate civiltà precolombiane, intellettualmente evolute e territorialmente forti. Tribù di cacciatori e di coltivatori furono presenti nel territorio dell’odierno Perù, dalle valli e dalle prime pendici andine fino al mare, fin dalla notte dei tempi. Ma solo a partire dal Tredicesimo secolo, un piccolo clan della provincia di Cuzco incominciò a svilupparsi e ad estendere il suo potere nella regione delle Ande centrali. I re e i principi di stirpe regia avevano il titolo di "Inca", e quest'orgoglioso nome passò infine all’intero popolo, che, al tempo della scoperta, occupava l’intera fascia costiera dell’Oceano Pacifico fino al Cile e, all’interno, tutta la Bolivia e l’Argentina settentrionale. L’idea che l’impero incas dovesse inesorabilmente finire in una catastrofe era così radicata nella coscienza della classe dirigente da essere considerata parte integrante della natura delle cose: al punto che l’undicesimo e più potente incas, Huyana Capac, prima di morire, quando ormai gli spagnoli erano comparsi sulla sua terra, chiese ai suoi sudditi di sottomettersi agli invasori, senza opporre resistenza. Le notizie che sconvolsero l’impero di Huyana Capac ci sono giunte attraverso le cronache di Carcilasco de la Vega. Egli fa notare come le voci sullo sbarco degli uomini barbuti sulla costa, giunte a Cuzco una notte in cui un triplice e malaugurante alone circondava la luna, coincidono con la spedizione preliminare di Francisco Pizarro, del 1527. Passarono cinque anni prima che gli spagnoli ritornino e che le nere profezie si avverino. Huyana Capac dovrà morire e i suoi figli, Huascar e Atahualpa, dovranno vedersi coinvolti in una cruenta guerra civile per la successione. Atahualpa, proclamato dodicesimo Incas dopo aver sconfitto il fratello nelle terre del Nord, si troverà sulla strada del ritorno a Cuzco, alla testa dell’esercito vincente, quando verrà informato che gli stranieri sono tornati dal mare e che marciano verso Cajamarca. È l’estate del 1532. Con l’incontro tra Pizarro e Atahualpa s’incomincia a scrivere l’ultima pagina della storia incas. Sebbene non siano più di trecento, gli spagnoli, con un audace colpo di mano, catturano il re giunto a salutarli con sessantamila soldati ed esigono come riscatto una stanza piena d’oro. L’impero va incontro alla fine a causa della sua ricchezza, dovuta alle favolose miniere d’oro e d’argento delle Ande, la cui notizia aveva raggiunto gli spagnoli fin dai tempi della colonizzazione del Messico. Atahualpa non fa fatica a mettere insieme tanto oro da soddisfare la richiesta di riscatto, ma Pizarro non è un gentiluomo di parola e lo fa uccidere, insediando sul trono Manco II, uno dei principi reali che avevano parteggiato per Huascar. L’impero divenne in tal modo un protettorato della Spagna e Manco II dovette accorgersi che la sete d’oro degli stranieri era insaziabile. Ma, per quanto debole, l’imperatore non era stupido e fu capace di studiare un piano per ingannare, almeno temporaneamente, gli avidi protettori. Un giorno si presentò a Pizarro con due servitori che portavano un pesante sacco di semi di mais. Ne prese in mano un pugno e disse: "Questo grano che tengo in mano corrisponde all’oro che avete già portato via. Quello rimasto nel sacco rappresenta invece l’oro nascosto in una delle nostre città. Se voi giurate che, una volta preso tutto, ve ne andrete, vi dirò dove andare a prenderlo". Nacque in tal modo la leggenda del mitico El Dorado, nel quale non solo gli spagnoli di Pizarro credettero, ma anche molti altri colonizzatori e avventurieri, nei secoli seguenti. Francisco Pizarro incaricò il suo luogotenente Diego de Almagro di andare a prendere l’oro nel luogo indicato da Manco, con metà delle truppe. Dopo aver ingannato lo straniero con la favola della città piena d’oro e averne diviso le forze, l’imperatore riuscì a fuggire con molti uomini nelle inaccessibili valli della Cordigliera di Vilcabamba, da dove lui e i suoi successori opposero per quarant’anni una disperata resistenza. Nei primi quarant’anni della conquista gli spagnoli riescono a consolidare il loro dominio su tutto il territorio incas. Prendono il posto degli Incas, lasciando praticamente intatto il sistema di raccolta delle tasse dell’antico impero. I "curacas", i capi locali, che si sottomettono, vengono lasciati al loro posto, sempre che assicurino l’obbedienza degli "ayllu", cioè delle comunità. Ora però l’equilibrio di doveri reciproci fra la comunità e lo stato non è più rispettato. Il guadagno degli ayllu non torna più alle comunità. I contadini e le loro terre vengono assegnati ai singoli conquistadores, con la formula delle "encomiendas", il sistema già praticato dagli spagnoli prima a Santo Domingo e poi in Messico, che si traduce nello spietato sfruttamento degli indigeni. Nel 1572, Tupac Amaru, nipote di Manco II e ultimo discendente diretto degli Incas, viene catturato nell’ultimo ridotto dell’impero, sulla Cordigliera di Vilcabamba, e orribilmente giustiziato nella piazza di Cuzco le sue membra verranno disperse per i quattro punti cardinali: così i conquistadores simboleggiano e sigillano la frantumazione definitiva dell’ordine incaico. Gli indiani del Perù sono sconsolati, completamente demoralizzati. Si trovano nella più totale prostrazione. L’armonia del loro mondo è rotta, la realtà è sconvolta. Gli spagnoli hanno abbattuto i templi, distrutto i luoghi di culto popolare, depredato le case degli antenati, bruciato le mummie degli Incas, fuso e portato via tonnellate di preziosi che erano stati offerti alle divinità, costretto il popolo a conversioni di massa, con scarso o nullo lavoro d’evangelizzazione. Lo spazio, l’ordinamento politico del territorio, intimamente legato alla storia, al tempo e all’ordine celestiale, è stato diviso, frantumato secondo una logica straniera e incomprensibile. Le guerre di conquista e i lavori forzati nelle miniere si traducono presto in un repentino calo demografico. Come nel resto dell’America, le malattie portate dagli europei, anche il semplice raffreddore, provocano strage fra gli indi peruviani. Nel 1572 la popolazione era già ridotta a metà.